Come il sonno aiuta la memoria
LA DEPRIVAZIONE DI SONNO INFLUENZA NEGATIVAMENTE L’ATTENZIONE,IL PRIMO SCALINO NECESSARIO PER IMMAGAZZINARE LE INFORMAZIONI RACCOLTE DURANTE LA VEGLIA
Come il sonno consolida la memoria
A spiegare la nostra capacità di ricordare e di assimilare abilità e procedure non concorrono solo i due tipi fond<
Questi risultati sono stati tuttavia possibili grazie a un percorso di studi iniziato tanto tempo fa. La prima evidenza che il riposo notturno fosse protettivo verso il naturale dimenticarsi di situazioni e cose, risale addirittura al 1924. Da allora altre ricerche sono state svolte in merito. <<I dati raccolti hanno sottolineato per esempio come l’archiviazione delle informazioni apprese di giorno avvenga soprattutto nel sonno profondo (non-REM) durante il quale si registrano i livelli più bassi di acetilcolina (massima disattivazione del sistema colinergico), il neurotrasmettitore necessario per captare informazioni a noi utili nella veglia>>, ci aggiorna Luigi Ferini-Strambi. Altre osservazioni hanno spinto gli scienziati a sostenere che non esiste una sola memoria, ma più memorie riconducibili a due categorie: quella dichiarativa, che ci ricorda quali cibi si sono mangiati a cena o a pranzo, il giorno del nostro compleanno piuttosto che il nome del nostro collega, e quella implicita o procedurale, che riguarda le nostre capacità e non ci fa dimenticare per esempio come si va in bicicletta o come si guida l’automobile.
Dalla macro alla micro-struttura del sonno
Il passo successivo è stato quello di capire a quale tipo di sonno facessero capo queste due memorie. Nel giro di non molto tempo si è risalito al fatto che la memoria dichiarativa era più legata al sonno non-REM e quella implicita al sonno REM. Cosa sarebbe successo se si privavano dei volontari sani di una parte di questi due tipi di sonno? L’esperimento è stato eseguito ma ha dato risultati deludenti. E il motivo sembra risiedere nel fatto che i ricercatori non sono riusciti a togliere completamente il sonno REM o il sonno non-REM dai vari soggetti. Si è fatto allora strada il concetto che altri fattori potessero influenzare l’esercizio della memoria, ritrovabili nei dettagli del sonno piuttosto che nella sua macrostruttura. Si è così arrivati ai giorni nostri, in cui con esperimenti recenti si è chiarita l’importanza del CAP per il consolidamento della memoria, come pure quella dei “fusi del sonno”. Queste caratteristiche figure che ci compaiono subito dopo l’addormentamento nel sonno leggero (stadio 2 del sonno non-REM), prese in prestito in parte dalla realtà che conosciamo e che si sta lasciando e in parte arricchite con elementi fantastici, sembrano infatti anch’esse fondamentali per non dimenticarci ciò che dovremo fare il giorno dopo.
Un articolo di Manuela Campanelli, biologa e giornalista professionista